VELLANO Biagio

 

<< Biagio Vellano (Trino-VC-1928; Brusaschetto-Al-2008)

era un uomo di bell’aspetto; un designer ed un arredatore di talento; uno spirito introspettivo e coltissimo; un filosofo che amava la vita; un appassionato di archeologia e di musica di jazz; un innamorato rispettoso del creato e dell’Arte nella sua forma più alta e più pura.

Mai influenzato dalla materia di partenza, bensì soltanto dalla “materia” ri-creata, l’artista Biagio Vellano usa liberamente qualsiasi tecnica possa corrispondergli: la pittura ad olio tradizionale; i fondi serigrafici stampati che riprende con diverse tipologie di pastelli, polverosi o cerosi e i materici, le opere che costituiscono l’aspetto peculiare della sua creazione artistica. Nel momento della massima creatività delle avanguardie, l’artista indaga con tutto sé stesso il modo di ri-fare la natura che da sempre ha catturato con gli occhi e con gli obbiettivi della sua macchina fotografica. Nascono così le opere più straordinarie di Biagio Vellano, uniche ed irripetibili, quelle che lo individueranno per sempre nel firmamento della storia dell’Arte: i materici.

Se infatti i pastelli sono colore e luce; i materici sono materia e ombra: un microcosmo; una natura ricreata. Sono ricami di materia colata; di parti sporgenti; ammassi di plastiche combuste con il cannello e lavorate ancora incandescenti, per ricreare rocce, ghiacciai, fondali marini, fango e terra calpestata. L’artista bruciava strati su strati di plastiche e colature di vinavil mentre le esalazioni nere ardevano nei suoi polmoni. La cosa più terribile è che sapeva a cosa stava andando incontro…

Ma l’Arte non si può fermare: solo così nascono i veri capolavori…>>

 

Carla Bertone

CALANDRI Mario

 

CARRA’ Carlo

Carlo Carra’ nasce a Quargnento (Alessandria) nel 1881.
carra_cLa sua formazione avvenne nell’ambito della pittura di decorazione, prima a Valenza Po e poi a Milano, Parigi e Londra.
Nel 1906 si iscrisse all’Accademia di Brera, dove fu allievo di C. Tallone.
Strinse amicizia con A. Bonzagni, R. Romani, U. Valeri e U. Boccioni e partecipò per breve periodo al clima divisionista, aprendosi anche a suggestioni simboliche.
Nel 1910 firmò il Manifesto dei Pittori Futuristi e il Manifesto Tecnico della Pittura Futurista, aderendo, così, al Futurismo.
Tra il 1911 e il 1915 partecipò attivamente al movimento futurista: scrisse, tenne conferenze, partecipò alle turbolente “serate”, dipinse e disegnò.
Nel 1912 si recò a Parigi per organizzare la mostra di pittura futurista alla Galleria Bernheim-Jeune ed entrò in contatto con i cubisti. Nelle opere del 1912-1913 si allontanò sempre più dal Futurismo boccioniano e si avvicinò al gruppo di “Lacerba”, in particolare ad Ardengo Soffici.
Nel 1913 firmò il Manifesto della Pittura dei suoni, rumori e odori.
A Ferrara incontrò Alberto Savinio, Giorgio de Chirico e Filippo de Pisis.
Nel dopo guerra collaborò come disegnatore e critico alla rivista “Valori Plastici”.
A partire dal 1921 si concentrò su una pittura che si fondava sui principi di rigore formale da Pier della Francesca, Giotto, Masaccio e Paolo Uccello. Svolse un’attività continua di critico d’arte. Espose alle mostre promosse da “Novecento” e realizzò pitture murali per la Triennale del 1933 e per il Palazzo di giustizia di Milano nel1938.
Muore a Milano il 13 aprile 1966.

CASORATI Felice

Felice Casorati nasce a Novara il 4 dicembre 1883.
Dopo essersi trasferito con la famiglia a Milano, Reggio Emilia, Sassari e Padova, dove si laureò in giurisprudenza nel 1906 e dove iniziò ad esporre in mostre locali, nel 1907 esordì alla Biennale di Venezia.
Partecipò alle Biennali veneziane del 1909, 1910, 1912 e 1914, all’Esposizione Internazionale di Belle Arti del 1911 a Roma e alla mostra della Secessione Romana del 1913.
Nel 1908 si trasferì a Napoli, per poi stabilirsi a Verona, dove abitò fino alla fine della Prima Guerra Mondiale.
In seguito alla morte del padre, lasciò Verona e si stabilì a Torino nella casa-studio in cui visse fino alla morte. Nel capoluogo piemontese strinse amicizia con P. Giobetti e nel 1918 esordì al Circolo degli Artisti.
Suscitò scalpore con le opere presentate nel 1919 alla Promotrice delle Belle Arti di Torino, nel 1921 alla Mole Antonelliana e nel 1923 alla Quadriennale torinese.
Nel 1920 fu invitato alla XII Biennale di Venezia , ma declinò l’invito per esporre con il gruppo dei cosiddetti “dissidenti di Ca’ Pesaro”.
Con A. Satoris e con A. Rigotti fondò la Società di Belle Arti “Antonio Fontanesi”, per la quale organizzò raffinate mostre di artisti dell’Ottocento e contemporanei.
Nel 1924 fu invitato con una grande sala individuale alla Biennale di Venezia.
Cominciò ad esporre al Carnegie Instituite di Pittsburgh e partecipò ad importanti rassegne d’arte internazionali. Nel 1926 e nel 1929 espose alle mostre del Novecento Italiano organizzate a Milano da M. Sarfatti.
Nel 1931 ebbe una sala personale alla I Quadriennale di Roma. Nel 1933 iniziò la sua attività di scenografo e nel 1937 gli venne dedicata un’ampia retrospettiva nel salone de “La Stampa” di Torino e vinse il secondo premio all’International Exibition of Paintings di Pittsburgh.
Nel 1938 ottenne il Grand Prix all’Esposizione Internazionale di Parigi.
Nel 1941 fu nominato titolare della cattedra di pittura all’Accademia Albertina di belle arti di Torino, della quale diventò direttore nel 1952 e presidente nel 1954.
Muore a Torino il 1° marzo 1963.

DE CHIRICO Giorgio

Giorgio de Chirico nasce a Volos (Grecia) il 10 luglio 1888 da una famiglia nobile di lingua dechirico_gitaliana.
Nel 1891 nella stessa città nasce il fratello Andrea Alberto, che assumerà dal 1914 lo pseudonimo di Alberto Savinio per la sua attività di musicista, letterato e pittore.
Più tardi mentre Savinio studiava pianoforte, Giorgio si iscrisse al Politecnico di Atene per intraprendere lo studio della pittura.
I due fratelli furono molto uniti e si scambiarono le proprie conoscenze.
Nel 1911 de Chirico raggiunse il fratello Alberto a Parigi dove ebbe modo di conoscere i principali artisti dell’epoca. Subì l’influenza di Gauguin da cui presero forma le prime rappresentazioni delle piazze d’Italia.
Tra il 1912 e il 1913 la sua fama si propagò, anche se ancora non ottenne un adeguato successo economico. In questo periodo cominciò a dipingere i suoi primi manichini.
Negli anni parigini De Chirico dipinse alcune delle opere pittoriche fondamentali per il ventesimo secolo.
Allo scoppio della prima guerra mondiale i fratelli de Chirico si arruolarono volontari e vennero inviati a Ferrara e qui ha modo di partecipare a frequenti discussioni artistiche anche con Filippo de Pisis. Insieme danno vita alla breve stagione della “pittura metafisica”.
Dopo un primo periodo di disorientamento dovuto al cambiamento di città, Giorgio rinnovò la propria pittura, non dipinse più grandi piazze assolate ma nature morte con simboli geometrici, biscotti e pani.
Nel 1924 partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia.
Nel 1926 allestì una personale con trenta dipinti alla Galleria Paul Guillaume di Parigi.
Intraprese in questi anni tantissimi viaggi tra Londra, Parigi, Milano e Roma e New York, dove ebbe modo di presentare una serie di opere datate 1908-1918 presso la galleria di Pierre Matisse ed ottenne un buon successo di pubblico e critica.
Prese parte alla mostra del Museo of Modern Art di New York dedicata all’Arte fantastica, Dada e Surrealismo.
Negli anni cinquanta poi la sua pittura fu caratterizzata dai suoi autoritratti in costume di tipo barocco e dalle vedute di Venezia.
Fu anche incisore e scenografo.
Tanti i riconoscimenti di pubblico e critica che ottenne in vita e nel 1975 fu nominato Accademico di Francia.
Muore a Roma il 20 novembre del 1978.

GUTTUSO Renato

PAULUCCI Enrico

POMODORO Giò

 

Giò Pomodoro nasce a Orciano, provincia di Pesaro nel 1930. Trascorre gli anni della formazione a Pesaro, pomodoro_gdove frequenta l’Istituto tecnico per geometri. Dopo un breve soggiorno a Firenze per il servizio militare, si trasferisce a Milano con la famiglia. E’ il 1954 e Giò e il fratello Arnaldo sono già noti alla Galleria Il Naviglio di Milano e alla Galleria del Cavallino di Venezia. Invitato a esporre alla Biennale di Venezia del 1956, Pomodoro presenta i lavori dei primi anni milanesi: gli agenti fusi su ossi di seppia dedicati al poeta Ezra Pound. Collabora con la rivista “Il Gesto”, le mostre del gruppo Continuità lo vedono protagonista del fermento della vita artistica milanese. Negli anni sessanta continua il suo studio lavorando alle superfici in tensione, che gli procurano il primo premio per la scultura per Giovani artisti di Parigi e che diverranno tematica primaria del suo lavoro per gli anni a venire. Nel 1965 sono oggetto di analisi le Folle e i Radiali, le cui superfici in tensione sono sviluppate secondo le direzioni cartesiane dello spazio. Per i successivi dieci anni predilige lavorare la pietra e il marmo, trasformando le tensioni in torsioni. Gli Archi, i Soli, i Contatti sono protagonisti delle grandi sculture realizzate presso lo studio di Querceta, in Versilia. I nuovi cicli vengono esposti nel 1974 presso la Galleria Il Naviglio di Milano e in molte altre mostre negli anni successivi Nel 1977 crea la sua prima grande opera pubblica, il Piano d’uso collettivo, dedicata alla memoria di Antonio Gramsci. La dimensione “esterna” conquistata dal progetto sardo lo porta a ricevere numerose commissioni in spazi aperti non solo pubblici ma anche privati. Gli anni ottanta lo vedono realizzare imponenti complessi monumentali. Il 1984 lo vede protagonista di una intera sala alla Biennale di Venezia e di una grande mostra antologica a Palazzo Lanfranchi di Pisa, con una prospettiva sulle sue opere dal 1954 al 1984. Un nuovo percorso di studi caratterizza la metà degli anni ottanta che trova espressione nel ciclo di Hermes, presentato al pubblico a Lugano nel 1985. La fine degli anni ottanta è caratterizzata da importanti antologiche e personali curate da critici di rilievo. Altre commissioni vedono protagonista la scultura nelle città di Torino e di Taino. Il suo intervento in spazi pubblici diventa così sempre più significativo e lo porta in giro per il mondo. Nel 1993 a Tel Aviv presso l’Ateneo della città si tiene una sua grande mostra personale in occasione dell’acquisto da parte di un privato per l’ateneo dell’opera Scala Solare-omaggio a Keplero. Nel 1994 partecipa alla mostra The Italian Metamorphosis 1943-1968 al Guggenheim Museum di New York, mentre l’anno successivo è invitato a far parte dell’International Sculpture Center di Washington D.C. Il 1996 è l’anno di Firenze e dei Soli e soprattutto di un gran numero di disegni e dipinti su carta di notevoli dimensioni. Nel 2000 viene pubblicata la monografia Giò Pomodoro: opere disegnate 1953-2000 a cura di Giovanni maria Accame, che già nel 1995 aveva presentato una personale di Pomodoro alla Galleria Spazia di Bologna. Nell’aprile del 2002 l’International Sculpture Center gli conferisce il premio alla carriera, è il primo italiano a riceverlo, la Galleria Giò Marconi celebra l’evento con un omaggio all’artista. Giò Pomodoro muore nel suo studio di Milano il 21 dicembre del 2002, giorno del solstizio d’inverno.

REVIGLIONE MARIO

Mario Reviglione, nasce a Torino, il 31 marzo 1883, è stato un pittore e incisore italiano.
Frequenta gli studi classici e s’iscrive all’Accademia Albertina di Torino, che abbandona per insofferenza verso la cultura formata sui modi del naturalismo ottocentesco interpretato da Giacomo Grosso.
Si avvicina all’ambiente artistico di Bistolfi e all’ambiente del Simbolismo. Diventa amico di Domenico Buratti e frequenta l’ambiente dell’avanguardia culturale e letteraria torinese. Frequenta anche Felice Carena e l’incisore Carlo Turina.
Di carattere molto schivo, inizia ad esporre alla Promotrice delle Belle Arti di Torino nel 1903. Nel 1906 partecipa alla Mostra nazionale del ritratto di Milano e l’anno seguente esordisce alla Biennale di Venezia (esposizione a cui parteciperà ininterrottamente fino al 1922).
Si dedica alla ritrattistica e alla pittura di paesaggio (oli, acquerelli, pastelli); le sue incisioni perdono l’originario carattere liberty per riferirsi ai modi propri della Secessione viennese a cui, intorno al 1910, è andato avvicinandosi. Espone alla Quadriennale di Roma e alla Prima Esposizione d’arte della Secessione Romana (1913-1916).
Nel 1912 partecipa alla I Esposizione italiana di xilografia a Levanto. Particolarmente apprezzato dalla critica del tempo[1] per le sue doti di disegno e di colorista, alterna la pittura alla personale ricerca xilografica con la quale collabora all’innovativa rivista L’Eroica di Ettore Cozzani a La Spezia.
Rimasto fedele alle sue scelte stilistiche iniziali, nel primo dopoguerra rimane isolato e la sua arte non è più compresa nonostante la sua costante partecipazione alle mostre torinesi fino al 1942.
Dopo la seconda guerra mondiale la sua solitudine artistica e umana lo porta ad una vita di povertà e a morire dimenticato dal pubblico.
Muore a Torino il 14 giugno 1965